Costruiamo ponti, non muri – campo giovani 2024

“Cosa fare e dove andare quest’anno per l’annuale campo giovani di azione cattolica della diocesi di Forlì-Bertinoro?” questo è quello che si è chiesta l’equipe giovani all’inizio di questa primavera.
A questa domanda si è proposto di dare una risposta Don Gabriele Davalli, parroco della parrocchia di Santa Maria Annunziata di Vedrana (Bologna), contattato grazie a Padre Luca Via: si andrà in Bosnia!
Nasce così, dall’amicizia, questo nostro viaggio culturale all’interno di una città così complessa e straordinaria, una terra di incontro e allo stesso tempo di scontro, un paese “profondamente accogliente fin nel soggiorno di casa, oltre il quale le porte rimangono serrate” (Luca Leone) a causa della guerra.
Un viaggio che è iniziato già prima della effettiva partenza per Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, con 2 incontri di conoscenza della realtà della città e della sua storia, tenuti da Don Gabriele, esperto del territorio poiché missionario attivo in questa terra sin dalla fine della guerra.

Arrivati a Sarajevo, dopo numerose ore di macchina, davanti a noi si è aperta una città dalla natura dinamica e socievole, ospitale, ma ancora ferita dalla guerra, come lo dimostrano i palazzi ancora danneggiati dai segni dei proiettili e dalle cosiddette “Rose di Sarajevo” ovvero simboli commemorativi che ricordano i fori sull’asfalto provocati dai proiettili di mortaio o bombe; fin da subito siamo stati accolti a
Gromilijak presso la casa dell’Annunciazione delle suore Ancelle del Bambin Gesù con un amore e cura tali da farci sentire amici e non forestieri e questo spirito lo abbiamo ritrovato anche in tutte le persone e abitanti di Sarajevo: sarà difficile dimenticare come uno sconosciuto, sentendoci parlare in italiano, si è fermato a chiacchierare con noi consigliandoci anche alcuni luoghi da visitare!

L’incontro è sicuramente stato uno dei temi fondamentali del nostro viaggio, a partire dall’incontro tra noi giovani del gruppo in cui, dal primo momento, si è creato un legame di amicizia e sintonia per poi passare all’incontro con alcune suore protagoniste degli anni della guerra; il loro racconto è sicuramente stato per noi fonte di riflessione sull’orrore della guerra e contemporaneamente sulla bellezza del perdono: quanto ci è difficile scusare nella nostra vita quotidiana azioni che, paragonandole, risultano cose da nulla e quanto sarà stato complicato e delicato il loro percorso di perdono.
Il loro sguardo pieno di speranza e di forza nel raccontare vicende atroci è stato segno della potenza della fede e l’aiuto di Dio che hanno ricevuto nei loro cuori.

Momento importante è stato sicuramente il ritiro sul monte Trebevic che da sempre, insieme alla funivia, è stato simbolo della città di Sarajevo perché monte più vicino, casa di molti antichi quartieri e meta di passatempi per bambini e ragazzi; purtroppo
però, con l’avvento della guerra, la funivia distrutta, la “montagna di casa” era diventata il simbolo della morte: da lì i cecchini sparavano, bombardavano, dall’alto del monte la valle risultava nuda, nessuno si poteva nascondere, non c’erano né strade né case né ponti sicuri.

Durante questo ritiro abbiamo capito, attraverso la preghiera e il silenzio, quanto abbiamo bisogno nella nostra vita di uno sguardo dall’alto per scegliere e per amare, come ci ha detto Don Gabriele e allo stesso tempo, grazie alle parole di Padre Luca, quanto dobbiamo stare attenti a “guardare dall’alto” gli altri perché persino Dio, attraverso il Figlio, è sceso per noi e si è inginocchiato per servire.

Sarajevo è un po’ come il Baklava, uno dei dolci più tipici dei Balcani: stratificata, imbevuta di tante culture, ma anche “infradiciata d’odio” (Luca Leone), ovunque ci si può rendere conto della dimensione interculturale e interreligiosa della città.
Gli uomini vivono fra loro in un clima di tolleranza e rispetto tra queste confessioni, è la diversità che rende questa città così affascinante; perciò dobbiamo ricordarci quanto non dobbiamo scegliere il conflitto, ma tendere alla pace, che è possibile tra tutti gli uomini, non esistono “buoni” o “cattivi”, siamo solo noi con tutte le nostre sfaccettature.
“La pace” come dice Tonino Bello “è convivialità delle differenze. È mettersi a sedere alla stessa tavola fra persone diverse, che noi siamo chiamati a servire.” e Sarajevo ne è la prova.

Alice Lazar

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