L’Azione cattolica, palestra di sinodalità
di Gualtiero Sigismondi
Vescovo assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana
L’udienza concessa da Papa Francesco alla presidenza e ai membri del consiglio nazionale dell’Azione cattolica italiana il 30 aprile scorso è stata il coronamento della XVII assemblea nazionale, chiamata a tracciare il cammino per il prossimo triennio e a individuare le persone che svolgeranno il loro servizio di guide ricoprendo le diverse cariche associative, a partire da quella di presidente nazionale, rivestita per sette anni «senza limiti di disponibilità» dal professor Matteo Truffelli. Al di là dell’emozione di rinnovare la fedeltà e l’affetto al successore di Pietro, la presidenza e il consiglio nazionale “in uscita” hanno potuto ascoltare con un pizzico di orgoglio nel discorso del Papa un appello rivolto alla Chiesa che è in Italia, per la quale l’Azione cattolica è «un’importante risorsa», «generatrice di speranza» e «palestra di sinodalità». La missione dell’Azione cattolica il Santo Padre l’ha individuata attraverso il nome stesso dell’associazione, che ne costituisce quasi il DNA .
«Azione», innanzitutto, intesa non già come uno sterile attivismo funzionalistico, in cui tutto è perfetto per nostra iniziativa, ma come movimento che ha origine in Cristo e nel suo Spirito. La docilità al Santo Spirito, frutto e condizione della preghiera, è «rivoluzionaria», manda all’aria i progetti umani riportando tutto all’essenziale, alla «sintesi tra Parola e vita, che rende la fede un’esperienza incarnata», nell’ascolto dei territori e dei loro bisogni, per intercettare in ogni dimensione umana un’attesa che la speranza cristiana ha il compito di allargare.
L’associazione è poi «cattolica»: esprime, cioè, la missione universale della Chiesa che non ha confini da difendere o territori da occupare, ma una maternità da estendere; è «con tutti e per tutti», non si annacqua ma si tiene sempre «ben legata alla vita concreta». Questa apertura cattolica, presupposto della sua apostolicità, conferma l’associazione nella sua indole eminentemente laicale, mettendola al riparo dai rischi della clericalizzazione, dell’autoreferenzialità e dell’astrattezza, assicurandole il suo carattere popolare.
L’aspetto maggiormente approfondito dal Santo Padre è l’aggettivo «italiana», che gli ha suggerito di affrontare il tema della sinodalità e segnatamente il modo in cui la Chiesa in Italia è chiamata a vivere lo stile sinodale, essendo giunta ormai al “giro di boa” dopo il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015. Una Chiesa sinodale è illuminata «dall’alto», dallo Spirito, mentre «dal basso» ascolta «la voce di Dio che ci raggiunge attraverso il grido dei poveri e della terra». La sinodalità non ha un programma da realizzare, ma è uno «stile da incarnare», lontano sia dalla logica parlamentare che cerca una maggioranza, sia dall’astrattezza che non conduce a fare scelte concrete e condivise. «Fare sinodo — ha sintetizzato il Santo Padre — non è guardarsi allo specchio, ma camminare dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo».
Il messaggio consegnato da Papa Francesco alla Chiesa italiana attraverso l’Azione cattolica prende forma in questo senso: avviare l’itinerario sinodale senza indugio, senza timore e senza mete prefissate; disporsi a camminare secondo lo Spirito — che parla anche nei laici, i quali non devono essere ascoltati «per concessione» e non hanno bisogno di diventare «qualcosa di diverso da quello che sono per il Battesimo» — lasciandosi ammaestrare dall’ascolto del popolo di Dio e facendosi sorprendere dal «disordine» del Vangelo che scombina i piani pastorali.
L’Azione cattolica, da oltre 150 anni, assicura alla Chiesa in Italia un enorme patrimonio di laicità, fatto di relazioni, competenze, buone prassi. Il suo radicamento popolare e la sua passione educativa non hanno fatto venir meno la validità della proposta associativa, cui nel tempo si sono affiancati molti altri gruppi e movimenti. Grande, dunque, è la sfida rivolta all’Azione cattolica dal Santo Padre per la sua storia e identità: essere un laicato che non restringe la propria azione alla “manovalanza pastorale”, ma che assicura una “partecipazione vigile alla vita civile”. Tenere in tensione dinamica queste due dimensioni significa fronteggiare sia un certo clericalismo, che vorrebbe i laici impegnati solo nella forma di operatori pastorali, sia una secolarizzazione incalzante, che intenderebbe ridurre i fedeli alla stregua di operatori sociali. Entrambe queste pressioni, se prevalessero, farebbero perdere un elemento fondamentale del carisma dei soci di Azione cattolica: quello di essere “cittadini degni del Vangelo”. «Meno sacrestani e più cristiani», secondo la felice intuizione di Vittorio Bachelet.
Anche in questa stagione, segnata da dure prove e stimolanti avventure, la Chiesa in Italia può continuare a investire e a scommettere sull’Azione cattolica, nata da un granello di senape che ha portato frutti di santità feriale e di vera laicità.