Cristianesimo e città: chiamati alla difficile arte del dialogo
Ancora una volta i cristiani sono chiamati a una speciale responsabilità per la vita comune. L’impegno pubblico, nelle sue svariate forme, in particolare per il laico credente è una forma di servizio che non può essere aggirata.
Quest’impegno però va inserito dentro l’attualità dei processi e dei momenti storici. Non esiste un solo modo per agire in vista del bene comune: l’impegno è sempre una risposta a un’esigenza storica.
Da più parti ci si interroga sul futuro della politica e c’è bisogno di articolare un ripensamento complessivo di questa sfera del vivere civile. Un ripensamento che porti a ritrovarne le ragioni fondanti e, nello stesso tempo, nuovi orizzonti progettuali. Non ci sono vie alternative al pensare con intelligenza come agire per il bene della casa comune, nessuna scorciatoia sarebbe sostenibile. Le sfide hanno necessità di pensieri complessi e azioni di sistema. Ogni via breve alla fine risulta inappropriata e genera solo un tremendo senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni e della possibilità di cambiare in meglio le nostre sorti. Ciò di cui ha più bisogno il nostro paese è di essere abitato da cittadini consapevoli, capaci di giudicare e impegnarsi rifiutando strumentalizzazioni ideologiche, manipolazioni di parte e semplificazioni demagogiche. In questo senso la logica cristiana dei tempi lunghi ci aiuta a non cercare facili scorciatoie populistiche o accese prese di posizione, ma ci educa a leggere con competenza e in modo informato la realtà che ci circonda. I credenti si facciano dunque promotori attivi di processi a lungo termine per la crescita comune.
I cristiani sono chiamati alla difficile arte del dialogo che include, alle opere che risanano, all’impegno pubblico che si fa servizio e testimonianza. Occorre agire sul piano dell’esperienza profetica e delle buone prassi: la strada è quella della generazione umana, del lavoro personale e associato per costruire segni di bene possibile; avendo ben chiara la mutevolezza dell’esperienza storica e i valori in cui crediamo. Il cristiano può essere lievito e sale anche oggi. Se fa bene ciò di cui si occupa, se rispetta e sostiene le istituzioni, se agisce con rettitudine morale, se vive il potere con distacco e spirito di servizio, se si fa prossimo e accogliente, se parla e pensa con lo stile di Cristo. In questo modo si può continuare a dare anima e dignità al servizio politico.
Forse, tra le tante, quattro parole possono declinare la responsabilità cristiana per la sfera pubblica in modo attuale.
La prima è discernimento, inteso come capacità di leggere la vita e la società con intelligenza, individuando le strade più opportune per costruire una città degna dell’uomo. La seconda è dialogo: siamo nel tempo dei conflitti post-ideologici, dovremmo cercare di promuovere ponti e non fossati, spazi di discussione vera e non liti mediatiche. La terza è pensiero: in una fase storica in cui si viene investiti da flussi enormi di informazioni disarticolate, sarebbe utile tornare alla fatica del pensare; sostare per capire meglio e per dire parole che abbiano peso specifico. Infine, coraggio: l’esperienza cristiana è da sempre segnata dalla virtù del coraggio nelle sue varie modulazioni personali e sociali.
Torniamo a questa virtù nel modo di abitare il tempo, le nostre città, per accompagnare con speranza il futuro delle nuove generazioni.
Siamo davanti a un’impresa affascinante per l’Azione cattolica italiana: possiamo essere, insieme al resto della comunità ecclesiale e in sinergia con le varie positive esperienze nate nella società civile, fautori di un pensiero divergente sul modo attuale di fare e pensare la politica. Un pensiero che umanizzi questo ambito del vivere e lo riporti dentro la logica della ricerca del bene condiviso.